Ad Aprile sul lungomare può anche starci questo vento freddo che viene da mare. Le nuvole vanno e vengono e così la luce che illumina i villini e gli chalet oscilla tra colpi intensi e accesi e cadute d’ombra quasi minacciose. Le facce della gente, la gente che ogni volta decide di uscire a godersi l’aria e la vista del mare da una parte e dei colli dall’altra, rimangono accese e sembrano quasi sospese sul piacere di una luce che si accende dentro: nonostante il vento freddo che fa corrucciare le espressioni, stanno tutti a sollazzarsi sul piacere di farsi quattro passi fuori. Può accadere di camminare senza guardare l’orologio, può accadere di andare verso nord, verso Cupra, e a un certo punto trovare sulla sinistra un sottopasso: attraversandolo si indovinano quelle scalette che fanno salire dall’altra parte, sul ciglio della nazionale le auto vanno e vengono, e davanti si alza la parete tutta affrescata di gialli e di verdi della falesia di Sant’Andrea.
Di fronte la strada asfaltata sale piuttosto decisa e a destra, su in cima al costone, il profilo bianco della rocca di Sant’Andrea si staglia sull’azzurro del cielo spazzato di ogni nube. Ed è quell’azzurro l’invito più grande ad andare, a salire ed arrivare su in cima e guardarsi i ruderi della rocca. Un’altra mezz’ora e le sue pietre bianche stanno lì e ti sembrano magari le ossa di qualche pesce spiaggiato chissaccome e chissà quando, e guardi la metà residua della torre che va su e pensi a come doveva essere starsene le ore e i giorni a scrutare quella linea orizzontale, per vedere se tante le volte si stesse increspando di vele nemiche, di disgrazie e cattivi presagi, oppure di reti piene e di ritorni trionfanti e festosi.
Dietro, le colline hanno già quel verde intenso e sinuoso, il grano si è alzato di parecchio ed eccolo l’invito a lasciarsi alle spalle l’orizzonte del mare e andare là dove si segnano e si intrecciano quelle strade bianche. Sono così tante che sembrano possano portarti ovunque, lo spazio del fondo valle si apre come le pagine di un libro, di un tomo anzi, un tomo così grande che così su due piedi puoi soltanto spaginarlo, aprire a caso e leggere qua e là, perché davvero quanti anni e quante vite servirebbero per leggerselo tutto per bene?
La pagina oggi dice quella strada che divarica verso destra, in fondo ancora il mare, stavolta segnato da uno scorcio di Marano che è uno spettacolo. Con le casine e le torri merlate e gli alberi di ulivo di fico e di pino che le incorniciano con il blu sullo sfondo. Ci arrivi con poco a questo gioiello scendendo lungo una strada comoda che segna una campagna ancora viva e operosa. Marano accoglie con la porta che dà a occidente e poi ti abbraccia subito con Santa Maria in Castello e poi con i suoi vicoli fatti di quella pietra che sa colorarsi così bene e in modo tanto vario, con i piccoli orti e i giardini che spuntano da dietro i vecchi cancelli di legno e dai muri un poco alti e robusti. E ancora le facce della gente hanno quell’espressione di chi è preso da un senso di sottile beatitudine, da chi sente di aver “staccato” ed essersi infilato lì alla sorgente di una bellezza semplice, e le spalle le vedi che si abbassano per rilassarsi e le mani vanno a raccogliersi dietro la schiena e il passo rallenta e i visi vanno di qua e di là a pescare scorci e dettagli.
Alcuni poi scendono al lungomare di Cupra per l’ampio stradone che costeggia le mura medievali, oppure scelgono una stradina, appena fuori le mura, che subito diviene sterrata e che scende proprio accanto alla parete della falesia. La pagina si spalanca di nuovo e dall’alto in basso si mette a raccontare di mucchi di secoli a ritroso. Vieni così a sapere delle mura fondate sulla roccia e più sotto dei fiumi che hanno modellato quei sassi tondi che ora stanno cementati proprio sopra lo zoccolo giallo della duna fossile, e di quella sabbia antica che sta compressa sotto a tutto e che si spalanca alta e verticale, qui come in altre zone della costa, orlandosi di arbusti e di pini marittimi. Ogni tanto si apre: e anche quei buchi ampi da contenere persone e animali e viveri avrebbero da raccontarne fino a domani.
Prima di attraversare la nazionale e riprendere la via del lungomare un ultimo sguardo va sul profilo della falesia modellato dall’acqua e dal vento, il borgo che si staglia su in alto, le sue mura rugose con le agavi e i grandi cespugli indaco del rosmarino fiorito.
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