Il cuore mediterraneo della Valle Camonica

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Decidi di esplorare il territorio che deve pur esserci al di là del “nulla”della Bassa Bresciana, una pianura che può diventare opprimente per eccesso di monotonia, soprattutto quando le foschie si addensano fino a creare una coltre capace di inghiottire addirittura la poderosa presenza, in lontananza, del Massiccio dell’Adamello.

Imbocchi la tangenziale Sud di Brescia, in direzione Lago d’Iseo-Valle Camonica, pochi chilometri percorsi lungo un nastro asfaltato circondato dai “fasti architettonici” di un’era industriale che ha perso ormai la prorompente vitalità di un tempo.

La strada inizia a salire, si perde dentro le viscere di gallerie strappate alla roccia. E poi all’improvviso la densità della materia si dissolve nelle trasparenze luminose di un corridoio d’acqua, che scopre, a poco a poco, la sua placida sinuosità, e che sembra invitarti a scoprire la sua direzione, il suo limite ultimo, la sua origine geografica e geologica. Un’origine custodita come in un scrigno segreto dall’abbraccio possente delle Prealpi bresciane e bergamasche.

Percorri con lo sguardo il profilo delle rive e delle vette, ti confondi e ti perdi tra l’acqua e la terra, quasi senza poter prevedere dove inizi l’una e finisca l’altra….avverti un’impressione di sorpresa, o,  forse più, un senso di spaesamento. Mentre indugi su questo inspiegabile smarrimento interiore, ti sorprende un’improvvisa rivelazione: quel lago, che i Romani conquistarono e chiamarono Sebino, è una pagina intatta del grandioso libro della geologia della Terra. In quelle acque tranquille vedi l’esito della mastodontica azione delle lingue di ghiaccio che, durante le grandi glaciazioni, scendendo dal Tonale, mossero energie imponderabili in grado di sconvolgere e travolgere, distruggere e rimodellare, intrappolare e liberare quanto potevano urtare nel loro inesorabile scivolamento, fino a esaurirsi e a sciogliersi nella Francia Corta. Ed è così che percepisci in modo chiaro quelle forme, quei profili, quelle movenze, ma avverti più distintamente anche quel sentimento del sublime che subito non capivi, quel senso di turbamento come di fronte a qualcosa di terribile e minaccioso e, allo stesso tempo, irresistibilmente attraente. È la condizione dell’uomo quando avverte la propria fragilità e piccolezza di fronte alla grandiosa maestà della Natura.

Poi scopri un’isola che non ti aspettavi di trovare lì, cullata da acque dolci (nell’immaginario collettivo l’isola sa di mare!). E non è finita perché scopri anche si tratta di Monte Isola, che è l’isola lacustre più grande d’Europa, che è abitata, che una ghirlanda di piccoli borghi la cinge, arrotolandosi dalla riva su su per 600 metri. Su in vetta il santuario della Madonna della Ceriola, dalle sue antiche origini nel V° secolo, se ne sta come a contemplare la bellezza del creato, tra le voci di quanti vi arrivano mossi dal desiderio di ammirare un panorama davvero inedito, o dal sentimento di devozione.

Forse il tragitto della breve escursione costituisce un’esperienza ancora più ricca e coinvolgente di quanto non sia la sua destinazione al santuario. Soprattutto se hai la fortuna di recartici in Primavera.

Dall’imbarcadero di Peschiera Maraglio puoi incamminarti tenendo la sinistra e iniziare a goderti la strana voce del silenzio, rotta solo di tanto in tanto dal passaggio di qualche innocuo ciclomotore.

Man mano che ti allontani dalla riva e dal suo inconfondibile aroma lacustre e segui la strada verso le zone collinari dell’isola, ti accorgi che l’aria si impregna di squisite armonie, profumi ora dolci e avvolgenti, ora pungenti e squillanti, in qualcosa somiglianti a ciò che appartiene ad altri luoghi, ben più lontani da quelle vette rocciose e innevate che da qui puoi scoprire. Che strano! Iniziano a venirti incontro piani prospettici che sembrano stati strappati da altri paesaggi: piccoli terrazzamenti in cui si intrecciano i tralci dei vitigni, ulivi in fiore che riposano al sole in mezzo a radure erbose, qualche solitaria pianta di fico si contorce proprio nei punti più impensabili, alcuni ciliegi fanno maturare, senza fretta, le loro deliziosissime chicche. Per un attimo ti vengono in mente le Cinque Terre, basta escludere quel ghiaccio laggiù in fondo.

Poi nel verde spuntano i segni dei tempi lontani lasciati dall’uomo. Spicca la Rocca Martinengo, risalente al XIV° secolo, quando fu costruita dalla potente famiglia degli Oldofredi, per poi essere venduta, nel secolo successivo, ad una casata, quella dei Martinengo, appunto, divenuta più potente grazie ai servizi resi alla Repubblica di San Marco, sotto il cui dominio stava allora passando il territorio bergamasco, Monte Isola compresa. Basta considerare la scelta del luogo, in cui la rocca fu edificata, e il suo valore strategico (la rocca si erge su uno sperone roccioso, rivolto verso la sponda bergamasca del lago), e la sua struttura spiccatamente difensiva (solida base quadrata e imponente torre cilindrica), per avere un’ idea immediata degli scontri tra interessi diversi (Brescia, Bergamo, Venezia) dei quali l’isola e il lago furono spettatori.

La diversità, che la storia del genere umano ha espresso e interpretato troppo spesso sotto forma di conflitto, nella Natura trova invece equilibri sorprendenti che qui, in quest’isola, dai profumi quasi mediterranei, in mezzo ad un lago prealpino, sembrano nascere dai capricci di una bizzarra poetica della meraviglia.

Per assaporare queste bizzarrie della Natura, il modo migliore è lasciarsi alle spalle l’incasato di Siviano, capoluogo dell’isola, con la sua massiccia Torre Martinengo, probabile elemento superstite di un altro castello medievale.

Ti dirigi verso il borgo di Olzano, lo oltrepassi, la strada diventa sentiero e si restringe, la vegetazione inizia ad avere il sopravvento, prosegui nello spazio, ma è come se tornassi indietro nel tempo, continui camminando in punta di piedi quando ti accorgi di avere una guida d’eccezione, un coloratissimo esemplare maschio di fagiano, attraversi ombreggiate zone boschive in cui distingui il Castagno, il Cerro … poi qualcosa che proprio non ti aspetti: enormi agrifogli, rivestiti ancora delle loro bacche fiammeggianti tirate a lucido. E i fiori di ulivo e i tralci di vite di poco prima? Non eravamo in collina, a ridosso del mare?

Qualche passo, ti ritrovi in piena luce, incontri una radura recintata, dove una pacifica famigliola di asini ti guarda incuriosita, come se avesse davanti a sé uno spettacolo veramente insolito.

Ma lo spettacolo sorprende di nuovo te quando noti, a poca distanza, pennellate indistinte di rosa, di viola, di verdi, e poi scopri, in quel concerto di colori, le note squillanti e la rustica vitalità dei lampascioni fioriti, insieme, e senza stonature, alle eleganti movenze e al fascino sensuale delle orchidee selvatiche. Ti viene voglia di sostare, di rimanere lì ancora un po’ a giocare con il tuo stupore … non capita spesso di poterlo fare.

Jenny

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