“Sammenedette, care bbille mi…”(*)

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Sembra inevitabile che il destino comune delle circostanze più favorevoli, che per sorte hai in ogni momento a portata di mano, sia quello che esse vengano percepite ben presto come scontata routine, senza lode e senza infamia, niente di cui rallegrarti e, men che meno, di cui reputarti fortunato. Poi un giorno le necessità della vita ti schizzano, per un certo periodo, fuori dal tuo scontatissimo “recinto”. Devi partire ed è certo che ti dispiace, si sta così bene quando, anche al buio, riconosci ogni angolo che ti circonda, ti muovi leggero, spedito, padrone di te e del mondo. Credi di sapere fin da subito tutto ciò che ti mancherà… e invece non lo sai affatto, lo scoprirai con enorme sorpresa solo a poco a poco, ti sbalordirai nel riconoscere di dover rimettere mano al tuo sistema di valori e ridare nuovo ordine alle cose e inserirvene altre, comprese quelle abitudini che consideravi tanto ovvie e banali da viverle in modo quasi automatico, senza nessun “trasporto sentimentale”.

Non puoi non riconoscere che i profumi, i suoni e i sapori della quotidianità vanno piazzati molto in alto nel nuovo ordine del valore delle cose. Del resto abiti al mare. Come fai a non pensare a quelle giornate di tempesta in cui la brezza, traboccante di iodio e di salsedine, ti avvolge, ti insegue dappertutto, ti sfianca e ti rigenera al tempo stesso? Poi le mille “voci” del mare e di chi in mare ci lavora da tante generazioni, custodendo l’antica saggezza e l’antica operosità dei padri.

Il porto, certo, è il luogo deputato dove tutti i giorni vedi rinnovarsi i riti legati alla pesca, il rientro dei pescherecci, le operazioni di scarico, lo smistamento dei prodotti, mentre un brulichio chiassoso di voci –uomini, gabbiani, sirene- si espande nell’aria in improvvise manciate di coriandoli colorati. Ti diverte andare lì, è un bagno energetico, percepisci vibrazioni piene di vita, ma chi avrebbe mai detto che non poter ripetere “il rito” tutti i giorni, anche solo per un periodo di pochi mesi, può diventare motivo di struggente malinconia mista ad indignazione? Insomma, indisposizione dell’anima.

E il mercato del pesce, proprio lì di fronte alla banchina? È vero, ti diverti a girovagare tra i banchi del pesce in vendita, anche quando non lo devi acquistare, perché magari lo hai già fatto il giorno prima. Capita spesso di trovare, nelle cassette ancora guizzanti, qualche coloratissima rarità, oppure quantitativi particolarmente abbondanti, oppure pezzature fuori dal comune. In base alla stagione e alla generosità della provvidenza, trovi diverse prelibatezze del mare, da quelle più raffinate e ricercate (mazzancolle, scampi, ostriche, rane pescatrici, sogliole, pesci di San Pietro….) a quelle più popolari, ma non per questo meno nobili  nei valori nutrizionali (le infinite varietà del pesce azzurro, ricchissimo in omega 3: alici, sarde, sgombri), poi ancora triglie, razze di ogni dimensione, seppie, moscardini, polpi, merluzzi, busbane, mazzoline, scorfani… Insomma ogni volta c’è qualcosa di nuovo da osservare, da imparare (ad esempio le temporanee iridescenze violacee delle alici  ne indicano l’assoluta freschezza) o semplicemente qualcosa che può appagare l’innata e fervida curiosità del “flâneur”del porto. Però addirittura rifiutarsi di mangiare pesce che non sia esclusivamente quello acquistato dalle tue affidabilissime pescivendole, non sarà un po’ esagerato? Ma in realtà dietro a questo rifiuto c’è una questione di odori e profumi. Le pescherie, quelle lontane da casa, emanano odore di disinfettante. La pescheria del porto sa di mare, ha lo stesso profumo che ti rimane sulla pelle d’estate, quando ti lasci asciugare addosso l’acqua salata: basta fare un giretto per pochi minuti tra i banchi del pesce – magari per scambiare due chiacchiere con la signora che ti ha venduto un pesce dal nome dialettale incomprensibile e ti indica come cucinarlo – e ti rimane sulle labbra come una delicatissima nota salmastra.

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E ora non rimane che provare una ricetta molto semplice, ma gustosissima, tirata fuori direttamente dal ricettario della cucina marinaresca sambenedettese: penne al battuto di pesce azzurro.

 

Ingredienti per 4 persone:

400 gr di penne (o altro taglio, ma è consigliabile corto);

½ kg di pesce azzurro (alici, sarde, sgombri, a scelta);

carota;

sedano;

cipolla;

uno spicchio d’aglio;

peperoncino;

vino bianco;

la scorza di un limone;

olio;

sale

 

Preparazione:

Eviscerare e spinare il pesce, lasciarlo poi a bagno in acqua con ghiaccio e sale per almeno mezz’ora (questo è un trucco prezioso per rendere il battuto più digeribile, infatti l’acqua ghiacciata rompe i capillari delle carni e il sale ne assorbe il sangue….provare per credere, del resto è un’indicazione fornita da un pescatore – caparbio pioniere dell’ittiturismo nella zona, ma questa è un’altra storia…- che è solito pulire il pescato a bordo con la fredda acqua di mare ). Una volta scolati i filetti, metterli nel mixer insieme a carota, sedano, cipolla e spicchio d’aglio, frullare il tutto finchè non si otterrà una massa omogenea. Mettere un filo d’olio in una padella antiaderente, poi aggiungere il battuto, frantumandolo con una forchetta. Non appena inizia la cottura, sfumare con il vino bianco, aggiungere il sale, il peperoncino e la scorza grattugiata del limone. Far cuocere per alcuni minuti, giusto il tempo di cottura della pasta. Scolare la pasta, unirla al battuto e saltare in padella per qualche minuto.

 

Jenny

 

(*) da “Sammenedette” di Beatrice Piacentini, poetessa in vernacolo sambenedettese

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