Su due ruote lungo l’alzaia dell’Adda

Presso Trezzo sull’Adda (Mi), in bici sulla ciclopedonabile del fiume Adda:  immerso nella natura,  un museo a cielo aperto lungo diciassette chilometri, tra suggestioni leonardesche e gioielli di archeologia industriale.

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Il fiume Adda si allarga in un’ansa ampia e rotonda, diventa ancora più lento, placido fino a sembrare un lago. I pioppi tremuli, le alte betulle e una quantità di vegetazione salgono dalla linea delle rive fino a nascondere case e palazzi, parallelepipedi e ciminiere. Qui, nel tratto del fiume sotto l’abitato di Trezzo d’Adda, è come se tutta l’energia della massa d’acqua stia dando un grande respiro, prima di liberarsi in qualche altro luogo o istante. Sembra rimanere quasi congelata in un equilibrio oppure spalmata, diffusa su di un tratto di tempo luminoso e virescente. Tempo denso e dolce, da dedicare all’energia buona che scalpita dentro: l’alzaia, la strada di servizio che segue la riva destra, oggi è tutto un pullulare di gente in bicicletta. Ognuno a spalmare le proprie energie sulla piccola pendenza della ciclabile che sale fino ad Imbersago. Diciassette chilometri di un piano minimamente inclinato, che chiede di essere percorso con potenze esigue godendo del verde intorno. Andando lenti si scopre, ad ogni tratto, come da secoli in questi luoghi due sono stati i problemi che hanno tenuto principalmente occupate le menti: la navigabilità del fiume e l’utilizzo della sua energia. Navigli, centrali idroelettriche e ponti che danno vertigini solo a guardarli: disseminate lungo il percorso, le testimonianze di un rapporto tra uomo e ambiente che, nella ricerca di soluzioni funzionali, è stato spesso ispirato dal senso del bello e dal gusto dell’equilibrio.

Sulla ampia riva dell’ansa, appena all’inizio del percorso, c’è la centrale Taccani che dal 1906 trasforma l’energia dell’Adda in elettricità. Alla luce chiara del mattino, rende la veduta davvero unica e suggestiva. A volerla fu Cristoforo Benigno Crespi, industriale del cotone, per alimentare l’innovativa fabbrica villaggio di Crespi d’Adda, a pochi chilometri da qui. La facciata esterna è stata realizzata in ceppo d’Adda, la pietra locale, secondo lo stile tardo-eclettico con richiami di antichi modelli orientali e dettagli liberty. Tutto questo per ridurre l’impatto che avrebbe avuto una centrale idroelettrica su di un paesaggio fluviale praticamente incontaminato. E c’è molto equilibrio nel colore di quella pietra e nel disegno dei finestroni e in quel modo della struttura di allungarsi sulla riva mentre dietro, tra il verde, si alza il rudere della torre medievale del castello visconteo. Più avanti lungo il percorso, ancora a ronzare e a sfornare watts, si incontrano la centrale Esterle, costruita nel 1914, in cotto rosso e con richiami al gotico e al rinascimento lombardo, e la centrale Bertini, del 1893, costruita per rifornire la rete tranviaria di Milano da poco inaugurata: perdendo qualche minuto nell’osservarle si torna a un tempo in cui funzionalità e bellezza erano valori non ancora scissi completamente; un tempo in cui sopravviveva l’idea che un’attività umana vitale, fondamentale come la trasformazione dell’energia e del suo trasporto avesse in sé un che di divino.

Continuando a pedalare si arriva a un tratto dove il sentiero comincia a farsi un po’ più ripido, la zona è caratterizzata da ampi terrazzamenti e salti di quota, segni dell’azione di ritiro del ghiacciaio al termine dell’ultima glaciazione. L’Adda diviene stretto e nervoso, il suo letto è occupato da rocce e grandi massi tra i quali l’acqua accelera, vortica e schiuma. La navigabilità di questo tratto è un problema antico. I primi tentativi risalgono al dodicesimo secolo ma a mettere nero su bianco un primo progetto è stato Leonardo da Vinci che frequentò l’Adda durante i suoi due soggiorni milanesi, prima al servizio di Ludovico il Moro e poi del re di Francia Luigi XII, duca di Milano. Leonardo pensò di realizzare delle conche, ovvero bacini forniti di due porte, messi tra due specchi d’acqua posti a quote differenti. Le conche, sfruttando il principio dei vasi comunicanti, avrebbero fatto da ascensore alle imbarcazioni, permettendo loro di superare la differenza di livello. Leonardo poi, non solo rimuginò sulle questioni di idraulica ma rimase talmente affascinato dagli scorci di questo tratto d’Adda da ricordarli come spunto per il paesaggio de La Vergine delle Rocce.

Il progetto leonardesco – contenuto nel Codice Atlantico, conservato presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano – rimase per lungo tempo soltanto su carta. Fu ripreso, nelle sue intuizioni e soluzioni, e realizzato soltanto due secoli dopo, nel 1779 sotto Maria Teresa d’Austria. Il risultato, ancora visibile, è il Naviglio di Paderno che si sviluppa a fianco dell’alzaia per due chilometri e mezzo, costeggiando il Santuario della Rocchetta fino alle porte della località omonima.

Salendo ancora, mentre il fiume torna ad allargarsi, tra le due sponde verdi e folte di vegetazione è impossibile non notare il ponte di Paderno, che si slancia su un’unica campata di 150 metri di luce, tenendo sospese a 80 metri dal fiume strada e ferrovia. Stacca questo gran salto con la sua mole di metallo arrossato, costruita attaccando pezzo a pezzo senza saldature, solo con chiodi, su progetto di Julius Rothlisberger compagno di studi di Gustave Eiffel. Copia perfetta del Viaduc de Garabit dello stesso Eiffel, a guardarlo da sotto lo si vede sottile, si nota nel dettaglio la complessità della sua struttura e contemporaneamente si percepisce quasi un senso di vertigine seguendo la linea bruna del suo salto che si staglia nell’azzurro del cielo.

Sono quasi al termine del percorso, il macinino preso a nolo sul quale sto pedalando comincia a dare dei cigolii inquietanti, per cui scenderò a ritroso aiutato dalla pendenza in discesa pressoché continua. Ma volendo, arrivati ad Imbersago, ci si potrebbe imbarcare per Villa d’Adda sul curioso traghetto che, senza motore né vela, fissato a una cavo che va da sponda a sponda, si fa smuovere dalla corrente; oppure proseguire sulla sponda destra: altri venti chilometri scarsi e ci si ritroverebbe alle porte di Lecco, quindi il lago di Como e ancora un mucchio di sentieri e luoghi di scoprire a ritmi lenti. Ma questa è un’altra storia.

Alessandro.

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