Sono a un tavolo con Maurizio Serafini, Luciano Monceri (organizzatori e guide escursionistiche) ed Emanuele Luciani (assistente) per una chiacchierata sul Cammino Francescano della Marca: il pellegrinaggio a piedi da Assisi ad Ascoli Piceno, che ripercorre la via seguita da San Francesco nei suoi viaggi nelle Marche meridionali.
Inizialmente avevamo deciso di incontrarci a Macerata, e questa da subito mi era sembrata una buona location per l’intervista: ci sarebbero state le strade, l’asfalto e i palazzoni; le macchine che vanno e vengono e i visi anonimi dentro; i tanti cartelli di “affittasi” e “vendesi” come purtroppo se ne vedono in tante altre città. Tutto questo sarebbe stato un buono sfondo per i nostri discorsi, avrebbe creato un buon contrasto mentre si parlava del loro pellegrinaggio: alle automobili si sarebbero contrapposti le gambe e gli scarponi; all’asfalto ed ai palazzi, le strade sterrate e le colline e le pareti rocciose delle gole; ai vuoti opachi che traspaiono dalle vetrine ed alle serrande abbassate, gli occhi vivi, aperti e colmi di stupore di gente che si vede per la prima volta e decide di intraprendere assieme un viaggio. Se si riesce a far risaltare dei contrasti significa che poi si è ancora in tempo, in tempo per non farsi prendere da una remissiva abitudine, per non considerare fatalmente inevitabili gli eventi e le circostanze quotidiane a cui siamo esposti. Se si incontra gente come Maurizio, Luciano ed Emanuele si scopre che legare tra loro concetti come territorio, risorse e radici può dare un risultato libero da tante consuete retoriche. Un risultato, come quello del Cammino Francescano della Marca, capace di distillare fattivamente i contenuti storico culturali delle nostre terre, traendo linfa dal sentimento spirituale che da sempre le caratterizza.
Avevamo deciso di incontrarci a Macerata dicevo, poi un cambio di programma ci ha fatto ritrovare qui, all’Abbazia di Fiastra: luogo splendido, assai diverso da un centro cittadino, che anticamente metteva a disposizione una foresteria, un ostello, per ospitare viandanti e pellegrini. Sulle mura si trovano incisi piccoli fiori a sei petali, segno per alcuni della presenza dell’ordine Templare che a quei pellegrini forniva assistenza e protezione. Direi quindi che, anche senza polveri sottili e mestizie urbane, il posto si presta più che bene alla nostra chiacchierata.
Com’è venuta l’idea di realizzare il Cammino?
Luciano: Ci sono state diverse motivazioni. C’è la valenza storico-culturale e naturalmente quella della dimensione spirituale. Abbiamo incontrato una persona, Andrea Maria Antonini, allora assessore all’Ambiente della Provincia di Ascoli Piceno, è stato lui a dare l’input a fare qualcosa che potesse legarsi alla figura di San Francesco, nella prospettiva della celebrazione dell’ottavo centenario della sua presenza ad Ascoli, che cade proprio quest’anno. Ci ha commissionato la mappatura del percorso, da Assisi ad Ascoli, e questa è stata portata avanti sovrapponendola all’attività di ricerca storica. Quest’anno siamo arrivati alla quinta edizione, per l’occasione inaugureremo anche la nuova segnaletica.
Maurizio: c’è anche una motivazione socio-economica. Percorrendo il Cammino di Santiago di Compostela, ci siamo accorti di territori rinati grazie a questa realtà: un territorio depresso, come poteva essere quello del nord della Spagna e dell’entroterra, non si è spopolato e non è stato abbandonato dai turisti. Gli abitanti hanno ritrovato un senso di comunità, di appartenenza al progetto che coinvolge e unisce anche le altre comunità delle varie regioni. Sono rimasti nei luoghi delle proprie radici, hanno riscoperto il legame, e hanno cominciato a ricreare un’economia: quindi hanno trovato uno stimolo per rimanere nella propria terra piuttosto che emigrare verso poli industriali e megalopoli. Abbiamo capito che l’idea poteva essere riproposta anche qui da noi. Uno dei nostri obiettivi è proprio quello di rivitalizzare l’entroterra, proponendo un modello che non si basa sullo sfruttamento del territorio, che non cementifica e non preleva risorse naturali per distribuirle altrove. Con il Cammino Francescano della Marca abbiamo l’occasione di ricreare nella popolazione e negli operatori una consapevolezza, un nuovo senso di cosa voglia dire considerare il territorio come una risorsa.
Perché San Francesco è andato ad Ascoli? Come ci è arrivato?
Emanuele: Francesco viaggiava guidato dallo Spirito, spinto dal desiderio di predicare il Vangelo. Fa quattro viaggi nel Piceno: nel 1215 all’andata è venuto da Norcia, è sceso da Forca Canapine poi tramite la Salaria è arrivato ad Ascoli. Per tornare ad Assisi ha fatto il percorso che noi con il nostro cammino percorriamo all’inverso, da Assisi ad Ascoli, e nel tracciarlo, abbiamo considerato una tratta storicamente importante: la tratta Assisi-Caldarola, che ricalca praticamente l’antica Via Lauretana. Poi, da Caldarola ad Ascoli, abbiamo recuperato, dove possibile, ancora percorsi storici, alcuni di questi addirittura vanno a sovrapporsi con strade frequentate fin da epoca romana.
Maurizio: se con il cammino di Santiago, per decine di chilometri, addirittura nella Meseta Centrale per centinaia, incontri un paesaggio uniforme e senza nessuna novità, nei 170 chilometri del Cammino Francescano si transita per centri di interesse storico e architettonico come Spello, Foligno ed Ascoli, e in siti straordinari e vari anche dal punto di vista naturalistico: vai dalle sorgenti alle paludi, dalle forre ai crinali e ai calanchi.
E i partecipanti? Come vivono questa esperienza?
Luciano: Questa è una analisi che facciamo ogni anno, e ogni volta abbiamo sviluppi e risultati diversi. La sensazione più netta e più diffusa è questa: senti la mente che si apre ed è una sensazione che hanno avuto un pò tutti. Un giorno puoi stare davanti, un giorno indietro, poi mentre cammini, se sei in difficoltà, c’è chi ti dà una mano, così come tu sei pronto a dare una mano se vedi che qualcuno ha bisogno del tuo supporto. Insomma, la mente si apre in questo senso: perché ti accorgi dell’altro, dei suoi bisogni. Durante il cammino senti che cambia la tua dimensione di vita: sei fuori dall’ordinario e ti si apre lo straordinario che può essere la natura, l’incontro con l’altro che cammina al tuo fianco. Ah ecco, un’altra cosa che si nota è che i cellulari si usano poco. Addirittura c’è gente che alla fine del cammino si accorge di averlo perso e non ricorda dove. Non si vedono crisi di astinenza da web perché sono diverse le connessioni che si vanno a creare. Tra i pellegrini si creano legami e interazioni qualitativamente differenti da quelle che si possono avere in contesti soliti o sui social networks.
La presenza di San Francesco dov’è?
Maurizio: ma è nella sodalità tra i pellegrini! Francesco muoveva e creava tanta di quella bellezza nel suo cammino, al punto che le persone si univano. Si univano in nome di questa bellezza, una bellezza che è fuori e che è dentro. La comunità del cammino si è creata su questo concetto: abbiamo persone che, nonostante provengano da storie e collocazioni sociali completamente diverse, riescono a convergere. È davvero un popolo in cammino, non ci sono barriere comunicative. Incontri persone con tutte le loro vicissitudini che le hanno spinte in pellegrinaggio; le loro storie mi danno il senso dell’umanità vera, ed è questa l’umanità in cui voglio credere. Perché ognuno avrà le proprie contraddizioni, ma quando li incontri in cammino vedi che come te stanno cercando il centro motore delle cose, l’essenza, e questi sono i segni di una Bellezza ancora più straordinaria con cui uno vuole entrare in contatto, a cui uno vuole tendere.
Emanuele: Nella spiritualità francescana riscopriamo, inoltre, che nella frugalità e nella essenzialità delle cose si può riconoscere il senso del vivere. Da poco, riceviamo molto. Una dimostrazione di questo fatto è a Fiungo. A Fiungo c’è una signora, vive da sola, e quando passa il Cammino apre casa ai pellegrini e offre ciò che ha, da bere, da mangiare: allora avverti la presenza francescana anche dove non c’è una chiesa o un convento o un’edicola o un luogo storico. Senti che questa presenza è fatta dalle persone e dai loro gesti.
Quindi dove c’è l’incontro non c’è bisogno del tempio?
Maurizio: Di templi, di chiese, se ne incontrano diversi lungo la strada: questi luoghi si associano con ciò che stai vivendo, non sono staccati, sono perfettamente integrati con la tua esperienza umana e spirituale. È una dimensione che si avverte in pellegrinaggio, i luoghi fisici ci sono, ma si tende comunque a luoghi interiori. E la pratica del camminare, dello spostarsi lentamente, si presta e ti porta a cercare il tuo tempio interiore. Insomma te la vedi con te stesso, con i tuoi limiti fisici e con quelli spirituali. Hai tempo per pensare: se sei all’interno di un’azione pensi all’azione e non pensi a te stesso, noi siamo poco abituati a rallentare, a stare in silenzio, a stare disconnessi, abbiamo paura di questo confronto.
Emanuele: sarebbe una cosa molto meno spirituale andare da luogo a luogo senza considerare quello che sta in mezzo, chi si incontra appunto, quello che “accade” in mezzo.
Avete parlato di popolo in cammino. Mi sono venuti in mente gli Ebrei che se ne vanno dall’Egitto. Si affrancano dalla schiavitù camminando, rinascono popolo tramite un pellegrinaggio…
Emanuele: l’uomo cerca il cammino da quando ha la concezione di una dimensione spirituale e il desiderio del divino. Erano luoghi di pellegrinaggio Stonehenge, Carnac in Francia, ma abbiamo esempi anche da noi: il Santuario di età tardo-repubblicana a Monte Rinaldo o anche il Monte dell’Ascensione di Ascoli. L’uomo, da quando ha avuto coscienza di sè stesso, ha sempre cercato la dimensione spirituale, l’ha proiettata nei luoghi e quindi nell’atto di avvicinarsi ad essi.
Maurizio: è un archetipo che appartiene a tutti i popoli e a tutte le religioni. Noi abbiamo frequentato le contrade nepalesi e tibetane, anche lì ci sono luoghi di pellegrinaggio importantissimi: mi viene in mente il Kailash, dove arrivano induisti, buddisti, i giainisti dal Pakistan e dall’India. Arrivano a piedi in questo luogo a 6000 metri di altitudine, un luogo che è la rappresentazione simbolica del concetto del pellegrinaggio: chi arriva prende un vecchio indumento, una scarpa, un cappello o una giacca, e lo lascia sulle rocce. E allora vedi questa distesa pazzesca, questi mucchi di pietre cosparsi di vecchi indumenti, occhiali, orologi e pantaloni lasciati da tutti quelli che sono passati. Ognuno di loro ha compiuto questo gesto simbolico: ha lasciato i suoi vecchi abiti e da quel momento è diventata un’altra persona.
È andato da “vecchio” ed è tornato rinnovato.