L’Abruzzo che ispira, in cammino da Villalago a Scanno.

Dal silenzio si levano i canti delle folaghe, poi è la superficie dell’acqua a incresparsi e spezzarsi con i loro voli che si alzano appena mi sentono arrivare. Il cammino comincia dall’eremo di San Domenico, la sua bella finestra con le bifore che danno sul lago – è più bello il quadro o la cornice? – il sentiero comincia subito a salire serpeggiando nel bosco sul fianco del colle. In un quarto arrivo su un ampio belvedere, una bella vista sul lago con il vecchio ponte e la gola che si stringe. Oltre la linea del monte c’è Anversa degli Abruzzi che stamattina era splendida illuminata dal primo sole. Spesso parto da lì in gruppo per arrivare a Castrovalva e poi scendere nelle Gole del Sagittario.

La finestra con le bifore dell’eremo di San Domenico.

Castrovalva è un bel borgo costruito su uno stretto crinale, quando ci arriviamo mi piace sempre raccontare di quella notte in cui l’olandese fu convocato in caserma con l’accusa di aver partecipato all’attentato al re d’Italia. Dopo la mattina in caserma, dopo che dimostrò la sua innocenza se ne tornò nero in paese e per sbollire si mise a disegnare, una giornata di quelle storte da raddrizzare almeno con un po’ di lavoro. Disegnò fino a sera e alla fine gli portò fortuna quel pugno di case immerso in una natura intatta perché fu proprio la stampa di Castrovalva a far avere la prima vera pacca sulle spalle da parte della critica a Maurits Cornelis Escher , l’olandese perdutamente innamorato dell’Italia più profonda.

Castrovalva nell’illustrazione di M.C. Escher

Ora il sentiero porta direttamente alle prime case di pietra di Villalago. Anche Villalago l’hanno voluta costruire lungo la cresta di un alto crinale. Troppo bello entrare in paese camminando per vie antiche, è come aprire vecchie pagine scritte a mano. La prima persona che incontro è un vecchio che mi da il buongiorno accompagnato da uno sguardo chiuso sotto un ciglio arcigno come il crinale del suo paese. E quello sguardo è un tutt’uno con le case che sono un tutt’uno con la roccia. Case addossate una sull’altra, due vie principali e parallele dalle quali si diramano gli stretti reticoli. Castrovalva e Villalago sembrano nascere dalla roccia come per una reazione spontanea. Sembrano l’ordine al suo primo stadio, una geometria primigenia che sorge dal caos della materia informe e si autorganizza. I tetti delle case come parallelogrammi che spezzano lo spazio fino a legarsi a valli e poi ai monti e alle colline nel continuo andare di una trasformazione senza fine.

Anche qui c’è passato l’olandese, forse ha iniziato a concepire la sua metamorfosi proprio stando immerso in questo paesaggio. Sto percorrendo via Grossi, tra alte e strette pareti su cui si aprono finestre e portali, attraverso il punto esatto rappresentato nella “Natura morta con specchio”.

Attaccato al muro un piccolo crocifisso e il santino di San Domenico Abate, il santo che a Cocullo, paesino a pochi chilometri di distanza, viene portato in processione con decine di serpenti vivi avvinghiati. Una casa torre sale improvvisa tra due alte case. Villalago voleva prima di tutto difendersi, arrampicandosi su quest’alto crinale certo, ma anche tenendo vicini e serrati, ovvero uniti, i suoi abitanti.

Ora di nuovo si cammina a scendere, le vie degradano verso una bella piazza illuminata dal sole, degli uomini discutono di vecchi schieramenti politici, dalla bacheca di un’edicola un titolo a grandi caratteri dice della scoperta di una discarica abusiva di eternit. Poi tutto in piano lungo la ciclabile fino al bordo del lago di Scanno. Lo costeggio per qualche minuto poi salgo per il sentiero a destra. É un’ampia sterrata che poi si assottiglia entrando nel bosco, arriva ad una sella per poi scendere fino ad aprire la vista sulle case di Scanno. Proprio quando sotto le suole compare l’asfalto incontro questo tizio che esce dalla macchina dopo aver attraversato un passaggio limitato da una sbarra. Gli chiedo se sono in una proprietà privata, mi dice di no ma se voglio arrivare a Scanno posso anche prendere quel sentierino che scende dietro casa sua. La casa era di suo nonno mi racconta, all’inizio era isolata dal paese e quello era l’unico sentiero per raggiungerlo. E’ mangiato dai rovi in alcuni punti mi avverte, ma poi lo si segue senza intoppi. Piccole fortune. Posso entrare anche a Scanno per antica via. Quando arrivo resto ad ammirarla da un ampio terrazzone.

Scanno.

Lo stomaco brontola, in una piazza chiedo a due signori dove trovo un’alimentari. Me ne indicano uno proprio lì su quella via. Quando torno con i miei due panini riempiti da una commessa assai generosa li trovo ad aspettarmi ancora lì sulla piazza. Trovato? Mi chiedono. Certo che l’ho trovato mille grazie. Ho una busta con dentro due bei panini uno col prosciutto e l’altro con il salame di qui. Mi siedo sulla panchina con il solo pensiero di addentare quelle belle fette di pane cotto a legna riempite dalla commessa generosa ma loro vogliono attaccare bottone. Chi sei da dove vieni? dalle Marche tutta a piedi? Quando gli dico che sono una guida e che sono venuto a dare uno sguardo apriti cielo. Cominciano a raccontarmi che stanno preparando un cammino da Scanno fino al Lazio per un antico tratturo di transumanza. Elencano tappa per tappa, nomi di paesi, collegamenti tra sentieri e loro varianti, tempi di percorrenza, distanze e dislivelli. Io penderei pure dalle loro labbra se non avessi il pensiero di quei due panini nella busta di plastica, giuro e spergiuro che seguirò il loro progetto, loro continuano dicendomi dell’estate scorsa di quando hanno camminato con un grande gruppo, quest’estate faranno lo stesso e sembra uno di quegli interminabili dialoghi dei film di Tarantino dove poi all’improvviso tutti cominciano a spararsi addosso e di fatti appena mi salutano e se ne vanno cavo fuori il primo panino, quello col prosciutto e lo addento con dei morsi da sparatoria.

Dopodiché è un’immersione dentro Scanno, in questo labirinto di scale e scalette, vie slarghi e piccole piazze, panni stesi fontanili portali alcuni dei quali di una ricchezza fuori dal comune. Questo paese è caleidoscopico per la miriade di scorci che offre quasi ad ogni passo. Scanno è diventata grande e bella grazie alla pastorizia, e grandi nomi l’hanno poi reso celebre come paese dei fotografi. “Il bambino di Scanno” di Mario Giacomelli è esposta al Moma di New York, la “Mater Carmeli” sarà eletta da Henri Cartier Bresson quasi in punto di morte come la sua foto più significativa; ma prima di loro fu Hilde Lotz-Bauer con la sua Leica negli anni ’30 a rimanere abbacinata dalla bellezza di questo paese e della sua gente. Comune denominatore di questi scatti più degli scorci sono gli abitanti di Scanno ed in particolare le sue donne.

E in questo lembo d’Abruzzo, scoperto dagli occhi di quei viaggiatori come terra primigenia, le donne sono depositarie di riti di un’epoca matriarcale. E’ vicina la Majella montagna madre. Con i suoi boschi sacri e le sue pietre curative, gli alberi magici e le grotte ventri ancestrali dove gli eremiti scalavano le vette del digiuno. Quelle donne nascono dalla montagna madre, sono una sua diretta emanazione. Con le loro mani perpetuano gesti dall’ascendenza rituale: fanno il pane, raccolgono l’acqua, accendono fuochi e nei calderoni mischiano l’acqua con foglie di frassino per tingere la lana. Il senso del divino si cala nei loro gesti quotidiani, l’energia della Montagna Madre si raggruma nei loro corpi che quasi trascendono quando sono vestiti di quegli abiti, eleggendole a vestali con le loro offerte.

1930, Hilde Lotz-Bauer
1930, Hilde Lotz-Bauer
Mater Carmeli. 1951, Henri Cartier-Bresson

Lascio Scanno camminando fino all’Eremo di Sant’Egidio. Da lì il sentiero porta al punto panoramico da dove si può guardare il lago nella sua tipica forma a cuore. Poi ridiscendo e alle porte di Villalago resto basso sulla stretta provinciale. Costante la presenza dell’acqua del Sagittario, dopo Scanno il fiume ricomincia a scrosciare e a correre per poi placarsi ancora al lago di S.Domenico. Una quantità di azzurri colmano il catino di roccia, il sole scende dietro il colle, la superficie dell’acqua è increspata negli ultimi riflessi luminosi. Tra un po’ si conserverà nella notte qualcosa di un mondo ancora intatto. Le folaghe stanno in silenzio, il cerchio del cammino si chiude.

1951, Henri Cartier-Bresson