Se già siete con il termometro in mano, credo che prima di tutto vorrete sapere cosa significa wanderlust in italiano. Com’è che faceva quella canzone? “Wherever i may roam, wherever i may wander, wander, wander…”. Si chiudeva così il pezzo dei Metallica del loro monumentale Black Album, con quel verbo “wander” che veniva cantato e ripetuto con voluttà ed energia. La parola wanderlust che di solito traduciamo con “voglia di viaggiare” in inglese ha un significato più profondo e appunto viscerale, viene infatti da “to wander” cioè perdersi, girovagare e “lust” che è voglia, brama, desiderio lussurioso. Il significato di wanderlust è allora “voglia di girovagare” o anche “desiderio di perdersi”. Beh, non vi sembra una cosa abbastanza naturale? Non vi è mai capitato di avere questa gran voglia di andare in giro magari senza una vera meta?

Ma allora perchè si parla spesso di sindrome di wanderlust?
La rete è disseminata di post e contenuti che elencano i sintomi di quella che è percepita quasi come un’ossessione. Facendo una selezione, questi sono i sintomi da sindrome di wanderlust più gettonati che devi tenere d’occhio.
- Hai desiderio viscerale di viaggiare, conoscere posti nuovi e gente nuova
- Hai ossessione per i prezzi dei voli e visiti frequente i siti delle compagnie aeree
- Risparmi ogni giorno in prospettiva di un nuovo viaggio
- Quando sei a casa non sei pienamente soddisfatto
- Hai nostalgia dei viaggi passati

Questi nostri tempi sono fatti così: appena un comportamento si discosta di un tanto dalla linea chiamata per convenzione normalità, si attivano immediatamente meccanismi di catalogazione che spesso e volentieri, quando non riescono a far rientrare il fenomeno all’ovile dei comportamenti standard, lo si manda in viaggio premio tra le lande brumose di indefinite fobie e patologie.
Credo proprio che sia andata così anche per la wanderlust. Insomma forse i sintomi suddetti non andrebbero considerati come tali.
Sarete anche voi d’accordo. A meno che non si preferisca essere un orso sedentario – e se vi piace e vi sta bene così, ne avete tutto il diritto – alzi la mano a chi ogni tanto non prende quella voglia di uscire e andarsene in giro, guardare posti nuovi e magari fare anche nuove amicizie. Magari non necessariamente prendendo l’aereo. Può essere un viaggio, piccolo ma non povero di sorprese, anche randagiare e fare due passi su qualche via dell’isolato del proprio ufficio. Incontri, dettagli e atmosfere inedite sono sempre lì pronti a tendere il loro agguato a chi è disposto con animo attento e curioso. E ancora, è pratica saggia da parte del viaggiatore oculato tenere d’occhio il momento più conveniente in cui prenotare un volo un albergo o un’auto a nolo. Oltrettutto il viaggiatore ha il suo salvadanaio dedicato ai viaggi, perché sa bene che non c’è denaro meglio speso che quello speso per viaggiare. Ma questo non è certo un elemento per considerarsi addicted così come non lo è sbuffare quando si sta a casa e si ripensa ai posti che abbiamo visitato in passato. Lo stiamo sperimentando in questi giorni di quarantena quanto può essere frustrante e limitante oltre che stancante starsene tra le quattro mura. La mente vaga, ripensa ai viaggi passati certo con una buona dose di nostalgia, e nello stesso tempo viaggia e immagina i prossimi viaggi che si potranno fare quando finalmente saremo liberi di uscire.
Allora la wanderlust cos’è? Non esiste?
“Diversivo. Distrazione. Fantasia. Cambiamento di moda, di cibo, amore e paesaggio. Ne abbiamo bisogno come dell’aria che respiriamo. Senza cambiamento, corpo e cervello marciscono. “
Bruce Chatwin, Anatomia dell’irrequietezza
Una recente ricerca pubblicata dalla rivista “Evolution and Human Behaviour” punta il dito su un gene che sarebbe responsabile del manifestarsi della wanderlust. Questo gene è associato ai livelli di dopamina del cervello ed è correlato con la presenza di curiosità ed irrequietezza. La dopamina è un neurotrasmettitore noto come l’ormone del piacere e della ricompensa, e quando è in circolo la differenza in termini di benessere la si sente eccome. Insomma quando si va in giro a vedere posti nuovi e a fare esperienze nuove il cervello è contento, questa cosa gli piace un bel pò e ci ringrazia con la dopamina.
Sembra di sentire riecheggiare le parole di Bruce Chatwin: lo scrittore perdutamente innamorato del viaggio era fermamente convinto che l’uomo fosse nato per essere nomade e che la sua attuale fase sedentaria e stanziale fosse qualcosa di restrittivo e innaturale.

Più che una malattia dunque saremmo di fronte a un’impronta genetica scaturita dagli albori della nostra storia evolutiva. Una vicenda cominciata nel momento in cui ci siamo alzati sulle due gambe e abbiamo osservato da quella prospettiva inedita il mondo intorno a noi. Ci siamo alzati per guardarci meglio alle spalle quando minacciati, ma anche per guardare avanti verso l’orizzonte in cerca di nuove esperienze e opportunità. E quando le gambe hanno cominciato a mettere un passo davanti l’altro, le mani sono state finalmente libere di fare e disfare, di creare, modellare e costruire, sancendo una vera e propria rivoluzione tecnologica, la prima di una lunga serie.
L’irrequietezza dunque è una specie di spia che il nostro dna ci accende sul cruscotto. Sono messaggi che vanno colti, ascoltati e interpretati. La voglia di viaggiare è insita nella nostra natura e piuttosto che una sindrome o una malattia è uno strumento di crescita, un vero e proprio passaggio di un percorso evolutivo. Se dopo aver fatto un bel viaggio ci rimane addosso la voglia di ripartire, non abbiamo nessuna malattia o ossessione. È come quando ci si innamora. Non pensiamo ad altro e non viviamo per nient’altro. Semplicemente ci si è aperto un mondo, come si dice, una nuova dimensione e un nuovo modo di conoscere noi stessi e la bellezza che ci circonda. Sia essa a dieci ore d’aereo o dietro l’angolo, magari proprio in quella via della mia città della quale fino a ieri ignoravo completamente l’esistenza.
