C’è una balena bianca in fondo al sentiero.

Ogni tanto mi gira in testa quel pezzetto di dialogo dal mitico “Truman Show”. Ve lo ricordate? Il piccolo Truman che dal banco di scuola esclama tutto infervorato “Voglio fare l’esploratore, come il grande Magellano!” e la prof di geografia che risponde come da copione con un tono finto rammaricato “Oh, è troppo tardi, non c’è più niente da esplorare”.

Per fortuna che gli imprinting non sempre attecchiscono. Tanto si sa, che poi un modo per viaggiare ed esplorare lo si trova sempre, non necessariamente infilandosi in zone virginali in tutto e per tutto, topografia compresa. Qualcuno dirà pure che il viaggio di esplorazione è come il rock, tanto fico e tanto bello ma ehm peccato che è morto. Però, però. Prendi il buon Walter Bonatti. Tipo quella volta in cui, forse ricordandosi che da giovane era un gran divoratore di libri di avventura, se ne partì alla volta della Polinesia sulle orme di uno dei suoi autori preferiti, Herman Melville che lì aveva ambientato il suo primo romanzo, Taipi. A suo tempo il futuro autore di Moby Dick aveva detto chiaro che il libro era uscito da una sua esperienza realmente vissuta, ma i critici che di mestiere fanno i critici bollarono tutto come opera “fantasiosa”. Bonatti invece vuole credere a Melville, riconosce sulla pagina “analoghe tensioni fisiche e psicologiche” a quelle che lui conosce molto bene: gli stress fisici e gli stati emotivi del protagonista sono narrati proprio come li ha vissuti lui appeso su qualche parete alpina.

E da lì scocca la scintilla, il germe dell’esplorazione: i due a distanza di secoli, si guardano attraverso lo spazio della pagina ed entrano in risonanza. Non è certo lui il primo a provarci: altri sono partiti con la stessa idea di confrontare pagina e luoghi, ma ogni volta se ne sono tornati a mani vuote dicendo che Melville aveva lavorato un bel po’ di fantasia. Ecco il varco, la soglia che dà sull’ignoto e l’inesplorato. La mappa è il racconto, il tesoro è la conferma che va cercando. Bonatti ripercorre allora tutto il cammino durato giorni, tra creste montuose, cascate e valli infestate — al tempo di Melville — da tribù che praticavano il cannibalismo.

E così un frammento alla volta riconosce finalmente nel paesaggio polinesiano i luoghi rappresentati nel libro.

Sulla base di un’indizio, dal seme di una sensazione inizia il percorso di scoperta. Domanda da cento milioni: e da comuni mortali, quando si sta per sentieri e cammini va allo stesso modo? Tu vai a fare un cammino vecchio di secoli, sei in Italia cacchio, cammini su sentieri percorsi da genti di epoche varie, in alcuni punti trovi addirittura basolati di pietra romana, li puoi riconoscere dalla grandi pietre lisce, levigate da una miriade di passi. Hai mappe, tracce gps e segnavia. Cos’altro c’è da scoprire e da esplorare? si chiederebbe ironica la prof di geografia di Truman.

Eppure senti una connessione che lega te ai viandanti che ti hanno preceduto. Scopri in loro un lampo, qualcosa che somiglia a una tensione o un peso insostenibile, una scintilla analoga alla tua che li ha spinti a partire. Tutte quelle chiacchiere su viaggi iniziatici, mete sante e pellegrinaggi. Saranno vere o se le sono inventate? Sarà fiction, un colpo di stile, moda, superstizione? oppure lì in quella nota sfumata, in quella vibrazione c’è qualcosa che risuona con quello che ti porti dentro? Si cammina anche così. Senza stare troppo a pensare che quel cerchio d’onda con il quale stai cercando di entrare in sintonia è partito secoli prima. La scintilla scocca perchè ci sei te dall’altra parte a fare da polo.

Alla base un grande bisogno di conoscersi e riconoscersi. Come per Bonatti con il romanzo di Melville, c’è un paesaggio da verificare, un cammino da scovare e ricalcare. Si lasciano le vie note e ridondanti della quotidianità. Si lasciano le stanze e gli schermi dai quali rimbalzano gli echi infiniti di una nostra immagine falsata, per cercarne una autentica e veritiera. Lungo il sentiero la mano tocca i lineamenti del viso. La mente indaga e misura fatiche ed emozioni. Ripercorre in un intenso andirivieni i passaggi che legano stati d’animo anche molto distanti tra loro: come paura, frustrazione, demoralizzazione oppure gioia, meraviglia ed esaltazione. Scopri che combaciano con quelle di uomini e donne che ti hanno preceduto. Scopri che avevano ragione a orientarsi verso una meta lontana, a inseguire la balena bianca o cercare dialogo con il Cielo.

Il viaggio di esplorazione è morto, pace all’anima sua. Anche il rock è morto, ma su con la vita dai, ne riparliamo quando magari andremo a trekkare su Marte e intanto ops i Tool hanno sfornato un disco dopo 13 anni ma allora…siamo pieni di risorse, riusciamo ogni volta ad aggiungere orizzonti e dimensioni nuove. Quando Bonatti scopre che Melville ha ragione arriva dove altri non sono arrivati, pur ricalcando le medesime rotte e tracce esplora e scopre una verità intatta; così chi cammina scopre dettagli, cose di sé e del mondo che altri non hanno mai visto o non hanno mai riconosciuto. L’esplorazione si allarga e apre lo scenario di dimensioni nuove, riconnettendo il dialogo di tradizione con i viandanti che ci hanno preceduto. Un dialogo antico di cultura e identità, potente, capace di riverberarsi nei secoli. Da rinsaldare certo, e da curare.

(Photo courtesy of Richmond Art Center)